Una forte testimonianza di un giovane uomo afghano
Associazione per i Diritti umani ringrazia moltissimo Atai Walimohammad per aver voluto condividere la sua importante testimonianza con i nostri lettori.
Sono Atai Walimohammad, ho 21 anni e vengo dall’Afghanistan.
Vivo in Italia dal 2013 e, dopo aver ottenuto la protezione come rifugiato, lavoro come interprete e mediatore linguistico-culturale.
Il mio fratellastro è Atai Liaqat Ali, Lui ha frequentato l’università di medicina ed è medico.
Sono figlio di un medico, mio padre si chiamava Dott. Atta Mohammad e fu ucciso dalla gente del mio villaggio. Ero così piccolo che non l’ho mai conosciuto. Crescendo mi è nata curiosità verso le foto ed i libri presenti in casa nostra e chiesi alla mia mamma “di chi sono queste foto ed i libri?”. Mia mamma mi disse che le foto ed i libri appartenevano a mio padre, e mi raccontò che mio padre fu ucciso da un Imam con l’aiuto della gente del posto.
Mio padre sempre consigliò alla gente del villaggio di non uccidersi per i vantaggi dei Paesi stranieri e di mandare i loro figli e le loro figlie a scuola invece di farsi saltare in aria per andare in “paradiso”.
Da piccolo il mio sogno era di diventare uno psicologo come mio padre: di mattina frequentavo la scuola ed il pomeriggio andavo ai corsi di matematica, biologia, fisica, chimica e di scienza. La gente parlava sempre male di me e cercava di ostacolarmi, ma nonostante tutto questo non mi sono fermato e ho continuato a frequentare la scuola.
Nel 2011 i Talebani hanno aperto in una zona rurale abbastanza lontano dal capoluogo, un centro di addestramento per i kamikaze, in cui veniva insegnato come farsi esplodere per Allah. Tutti i giovani ragazzi invece di andare a scuola andavano alla MADRASSA.
Nel 2012 ho aperto, con l’aiuto dei soldati americani ed il governo afgano, un centro per l’apprendimento dell’inglese e dell’informatica per bambini e adulti nel mio villaggio, all’inizio non venivano in tanti, ma poi il numero è aumentato. Una volta a settimana venivano gli americani a fare la pattuglia nel villaggio ed io andavo sempre a parlare con loro. Un giorno gli americani mi portarono i libri, i quaderni, i tappeti, le sedie, le matite, le lavagne ed i tavoli per i miei studenti; il giorno dopo ho distribuito tutti i materiali agli alunni ho convinto tanti padri che l’educazione è un’arma migliore rispetto al fucile!
Il 12/02/2012 ho fatto una scultura che assomigliava a Buddha e l’ho portata a scuola; era una cosa strana sia per gli insegnanti che per gli studenti, alcuni erano contenti di vederla mentre alcuni si sono arrabbiati! Mentre io facevo vedere la scultura agli studenti, è venuto l’insegnante di teologia ed ha cominciato a rompere la scultura e dopodiché ha incitato i ragazzi a picchiarmi: sono tornato insanguinato a casa ed è cominciata a circolare nel villaggio la voce che io mi fossi convertito al Buddhismo. Nel villaggio si è sparsa la voce che io fossi un infedele.
Dopo l’episodio della scuola la gente ha smesso di mandare i loro figli al centro da me. E tutte le persone avevano dubbi su di me.
Il 13/03/2012 gli americani hanno attaccato un gruppo di Talebani nel mio villaggio in cui ne sono stati uccisi quattro.
Dopo l’attacco i Talebani mi hanno accusato di essere spia per gli americani e di essere convertito al cristianesimo; il comandante dei Talebani, insieme con la gente del posto, è andato a bruciare il centro in cui insegnavo, successivamente sono venuti a casa, mentre io ero fuori, a rompere tutte le mie sculture e a cercarmi in tutta la casa. Tutto il villaggio e i Talebani volevano uccidermi. Sono riuscito a scappare nella provincia di Herat da dove ho lasciato subito e definitivamente Afghanistan.
Il mio fratellastro, Atai Liaqat Ali, faceva il medico in un ospedale privato, e mentre si preparava per fare la specializzazione, fu avvicinato dai Talebani che gli chiesero di lavorare per loro. Al suo rifiuto è stato minacciato di morte e gli è stato detto di non curare i governativi. Il suo ulteriore rifiuto si è tradotto in un rapimento in ospedale durante le ore lavorative. Al suo ennesimo rifiuto di collaborazione ha subìto torture tramite l’ elettroschock ed è stato abbandonato sul ciglio della strada. Da quel momento la sua vita è cambiata: ha subìto gravi danni al cervello ed è diventato menomato. Per farlo riprendere la mia famiglia lo ha portato in un ospedale in Pakistan dove ha trovato un minimo di sollievo con una cura antipsicotica. Durante la sua permanenza in ospedale, i Talebani hanno bruciato sia il suo ospedale che la nostra casa e la mia famiglia ha deciso di allontanare il mio fratellastro dall’Afghanistan e fargli fare il viaggio verso l’Europa.
Adesso è riuscito ad arrivare in Italia dopo un viaggio difficilissimo per la sua condizione mentale e si trova in un centro per richiedenti asilo a Crotone; manifesta ancora i problemi derivanti dalle torture e ha paura di essere trovato dai talebani in Italia.
Anche il mio viaggio non è stato facile: ho viaggiato diverse volte sotto i cassoni dei TIR per potermi salvare ed ho attraversato diversi Paesi. Appena arrivato in Italia la vita non era facile con una cultura così diversa.
Per integrarmi ho capito l’importanza di studiare e capire la lingua italiana e dopo qualche tempo ho cominciato a lavorare in Puglia (dove c’era il campo profughi che mi ospitava) con gli avvocati che seguono i migranti.
La mia passione per le lingue straniere mi ha portato a studiare e ad imparare da solo diverse lingue straniere e in seguito mi sono iscritto ad un corso per mediatore culturale; adesso lavoro con l’Associazione L.I.A. di Bergamo come interprete e mediatore nel Centro di Prima Accoglienza di Zavattarello (PV) e nel frattempo sto frequentando la laurea triennale in Scienze della Mediazione linguistica.
Qui ho trovato una nuova famiglia composta dai miei colleghi e dai ragazzi che ospitiamo, ai quali cerco di essere di esempio e di riproporre le attività che svolgevo in Afghanistan: collaboro nell’insegnamento dell’italiano e teniamo laboratori artistici.
Sempre per conto dell’Associazione L.I.A., con il mio collega Matteo Vairo (Responsabile dello sviluppo dell’Associazione L.I.A.) faccio parte dell’equipe che compone la Start Up di avviamento dei nuovi Centri di Accoglienza in apertura.
Attualmente ci troviamo nel Centro di Capriate San Gervasio, qui abbiamo attivato i corsi di italiano ed i laboratori artistici: seppur da breve tempo in Italia, i ragazzi hanno già raggiunto un egregio livello di conoscenza linguistica, inoltre nel tempo libero si sono adoperati nella realizzazione di una scultura che vorremmo donare al Comune in segno di riconoscenza per l’accoglienza; in questo modo cerco di riportare la mia esperienza e le attività che facevo in Afghanistan ai miei “colleghi di sventura”..
A questo va aggiunto che da qualche giorno i ragazzi, timidamente e sempre sotto nostra tutela, frequentano le strutture sportive del locale oratorio cominciando ad interagire anche con i loro coetanei italiani e cercando, con lo sport, di abbattere le barriere linguistiche e culturali.
Qui mi trovo bene, il mio lavoro mi piace, mi sento libero di esprimere le mie idee e i miei interessi e posso vivere la fede nel modo in cui desidero…Sogno ancora di diventare psicologo come mio papà!
Situazione in Afghanistan: la prima cosa che vorrei dire è che la guerra non è tra noi afghani ma sono le potenze straniere che fanno il bello ed il cattivo tempo nel mio Paese, da sempre.
Io mi domando come mai i Talebani non vengono ancora sconfitti?Da chi sono armati? E la comunità internazionale davvero vuole aiutare o contribuisce alla situazione di instabilità?
Da circa 15 anni la “coalizione” è in Afghanistan, ma sanno bene che tutto inizia in Pakistan, alleato degli USA e quindi non direttamente attaccabile.
Se volessero davvero aiutarci già l’avrebbero, fatto ma ci sono troppi interessi economici di mezzo e a rimetterci sono solo i miei connazionali che non sanno neanche per chi o cosa combattono. Direi che questa guerra nessuno ci tiene davvero ad interromperla e le persone come me vengono accusate di essere “convertiti” ed infedeli quando vorremmo solamente vivere in pace ed esprimerci liberamente come negli anni ’70 quando le donne non indossavano neanche il velo e il diritto all’istruzione era libero; il tutto pur essendo in un paese musulmano…Questo a significare che il problema non è l’Islam, ma gli interessi che girano intorno all’Afghanistan.