Fumetto Intercultura è un progetto composto dalle tavole della graphic novel “Women Story”: ci vuole parlare di questo lavoro?
“Woman story” è un catalogo pubblicato nella regione Sardegna promosso dalla regione e comune di Cagliari e associazioni locali, distribuito in omaggio nelle mostre organizzate in Sardegna. Il catalogo raccoglie alcuni lavori pubblicati in passato con la redazione di VillageUniversel. Il fumetto intercultura è il nome del progetto che ho ideato all’età di 14 anni trasformando quello che era il mio attivismo in associazioni di volontariato giovanili culturali ed umanitarie in racconti a fumetti, di genere graphic journalism, attraverso anche i miei studi in giornalismo. Oggi invece mi sto per specializzare in accademia di cinema d’animazione, e ho iniziato a lavorare insieme a registi su sceneggiature per film e teatro, un evolversi del fumetto intercultura al mondo del cinema. E il primo libro reportage cartaceo sarà pubblicato presto.
Il suo primo fumetto – scritto a soli 13/14 anni – parlava del velo e del pregiudizio. Qual è la sua opinione in merito alla libertà di scelta di indossarlo? E come risponde, quindi,a coloro che lo vedono solo come un’imposizione?
Quel fumetto fu la mia prima esperienza nel mondo del fumetto, sono molto legata a quel fumetto, illustrava la paura di una ragzza che ha deciso di indossare il velo in contesto occidentale, dei pregiudizi ma soprattutto era focalizzato sulla sua migliore amica, italiana non musulmana, che nonostante non conoscesse nulla del velo e dell’islam ha appoggiato la scelta della sua amica, Perché appunto sua amica. Personalmente ho avuto libertà di scelta di indossare il velo, un anno dopo l’11 settembre, per motivi religiosi ma anche per attivismo, perché in quel periodo ci furono molti episodi contro la donna musulmana. Un effetto in parte del terrorismo e in parte del mal uso del linguaggio mediatico quando si parlava di terrorismo. Sono contraria a chi obbliga la donna ad indossare il velo, cio che ho imparato e mi è stato insegnato della religione, è che non c’e imposizione nella religione e che le azioni sono in base alle intenzioni, il velo obbligato non ha nessun significato per chi lo indossa neppure per chi lo obbliga, quando si fa una cosa com intenzione automaticamente si da valore alla cosa che si fa, alla scelta che si prende.
Lei si occupa anche di volontariato presso varie associazioni: le storie che incontra sono fonte di ispirazione?
Sicuramente sono finte d’ispirazione, ho sempre scritto storie vere, vissute realmente, anche quelle più assurde, ma sono vere, persone realmente esistite, incontrate tramite il mio attivismo sociale, ed è questo il mio obbiettivo, una particolarità del graphic journalism è che l’autore è il protagonista del fumetto, che racconta tutto ciò che lo circonda, dei reportage fatti a fumetti. Joe sacco oltre ad essere un fumettista è anche giornalista, ha raccontato il suo viaggio in Palestina e della vita in quel territorio. Marjane Satrapi ha raccontato la sua storia di vissuto quando era in iran. Io faccio la stessa cosa, per poter fare fumetti graphic journalism, ho studiato giornalismo facendo corsi di formazione, fumetto da autodidatta e ora cinema d’animazione in accademia, sperando di trasmettere le storie di persone che incontro nella mia vita. Storie di giovani di seconda generazione, doppia identità culturale, razzismo e pregiudizi, diritti umani e rivoluzione, violenza sulla donna e donne rivoluzionarie durante le dittature nel mondo arabo.
Quanto la graphic novel può essere utile per aprire la mentalità dell’opinione pubblica?
L’impatto che ha il fumetto sulle persone è impressionante, le persone leggio volentieri un fumetto, l’arte attira, non solo per il disegno ma anche per la semplicità del linguaggio che viene utilizzato nel raccontare. Per esperienza mi son trova lettori che non condividono assolutamente il mio pensiero ma hanno letto volentieri i fumetti. Non cerco di cambiare le opinioni delle persone, cerco di farmi ascoltare, parlare e dialogare. Un modo per favorire l’integrazione forse, ma preferisco chiamarla socializzazione, conoscere e conoscersi è importante per convivere, abbattere muri di pregiudizi e stereotipi.
Cosa significa appartenere a due culture diverse?
Significa ricchezza culturale, apertura mentale, ponte tra culture. È una grande responsabilità, e a volte anche difficile, perché ci si trova a essere estranei in tutti e due i paesi di appartenenza, personalmente in Italia mi capita che mi vedono come la tunisina, e in Tunisia come l’italiana. Ma sono ottimista perché prendo da entrambe e do ad entrambe.
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é una giovane donna molto forte,penso che abbia avuto la fortuna di avere dei buoni appoggi .In Inghilterra ci sono tantissime ragazze con il velo e lavorano ,studiano e non penso che saranno ostacolate per un velo.