Il “Modello Albania”: un laboratorio autoritario alle porte dell’Europa
(da asgi.it)

| Il “Modello Albania”: un laboratorio autoritario alle porte dell’Europa |
| L’introduzione del Protocollo Italia-Albania e le sue prime applicazioni, le modifiche legislative apportate dal Decreto Legge n. 37/2025 e i trasferimenti dai CPR italiani, i rimpatri e da ultimo la prosecuzione dei trasferimenti nonostante il rinvio della Corte di Cassazione alla CGUE, rappresentano i punti di svolta del c.d. Modello Albania, che ridefinisce il trattamento delle persone migranti all’interno di un paradigma sempre più punitivo e restrittivo e che introduce ulteriori elementi di criticità, in un contesto già connotato da gravissime illegittimità rispetto all’impianto costituzionale, come da ultimo affermato dalla Corte Costituzionale. L’ASGI, insieme ad altre organizzazioni e al Tavolo Asilo e Immigrazione, ha denunciato sin dall’inizio i profili di illegittimità di questo accordo. Il Protocollo, firmato nel novembre 2023, pone le basi per violazioni dei diritti fondamentali, minando il principio di non respingimento e autorizzando forme di detenzione illegittima. La sua approvazione senza una legge di ratifica conforme all’art. 80 della Costituzione ha sollevato forti dubbi di costituzionalità. In origine si prevedeva il trattenimento di persone in arrivo in Italia via mare imbarcate su mezzi delle autorità italiane, laddove il Protocollo Italia-Albania (e legge di ratifica n. 14/2024) consente di portare in Albania i richiedenti asilo provenienti da Paese di origine sicura e trattenerli nell’hotspot di Shengjin e nel CPR di Gjader al fine di esaminare la loro richiesta di protezione internazionale mediante una procedura accelerata e di frontiera. Fin dal primo momento e nel corso delle prime operazioni sono risultate evidenti le numerose criticità e violazioni. Già in questa prima fase, questo sistema di esternalizzazione del controllo migratorio ha mostrato tutta la sua illegittimità ed è stato messo in discussione dalla giurisprudenza in relazione all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro, determinando la sospensione delle procedure di frontiera in attesa della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ambito dei giudizi riuniti C-758/24 e C-759/24. Un cambio di paradigma nelle politiche migratorie: gli sviluppi del c.d. modello AlbaniaLaboratorio di sperimentazioni autoritarie, il cosiddetto “Modello Albania”, ha praticato con il Decreto Legge 37/2025 una nuova strada, ossia il trasferimento coatto di persone migranti già trattenute nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) situati in Italia, su cui ASGI ha elaborato un’analisi giuridica e a cui è stata dedicata un’approfondita analisi nell’ultima relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione dedicata alla detenzione del cittadino straniero, che ha evidenziato svariati profili di illegittimità della novella normativa. La possibilità di trasferire forzatamente all’estero persone già in attesa di espulsione dai CPR italiani non ha a che fare con esigenze logistiche, dato che la capacità ricettiva dei CPR italiani è ben lontana dalla saturazione. La scelta di trasferire coattivamente le persone costituisce una misura a carattere punitivo e un atto gravemente ostile nei confronti di tutte le persone vincolate al rinnovo del permesso di soggiorno e, quindi, potenzialmente esposte, in caso di perdita del diritto al soggiorno, al trasferimento coatto in Albania. Il cosiddetto “Modello Albania” non solo colpisce i diritti dei migranti, ma riduce progressivamente le garanzie costituzionali per tutti. In questo senso, si pone in linea con il recente decreto sulla sicurezza, la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto all’abitazione, i diritti delle persone detenute ad esercitare i propri diritti anche all’interno dei contesti detentivi, su cui sono stati sollevati dubbi di legittimità nella relazione del Massimario della Corte di Cassazione. È inoltre un sistema che introduce un trattamento radicalmente differenziato per chi è sottoposto a detenzione o trattenimento in CPR determinando, tra le altre, anche una scala gerarchica tra le persone, sintomatica di un regime autoritario. Da ultimo il rinvio alla CGUE da parte della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23105/2025,depositata il 20 giugno 2025, avrebbe dovuto condurre ad immediata cessazione del trattenimento in Albania e alla sospensione dei trasferimenti almeno fino a quando la Corte di giustizia dell’Unione europea non avrà fatto piena chiarezza sulla compatibilità delle varie fasi del cosiddetto “modello Albania” con il diritto dell’Unione. Infatti, la Corte ha sollevato gravissimi dubbi di legittimità relativamente all’intero impianto del progetto Albania, che vanno ad attaccarne proprio i presupposti e le fondamenta. Oltre a sollevare questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione, la Corte evidenzia come le aree situate in Albania non possano essere considerate parte integrante dello stato italiano, mettendo anche in discussione la proporzionalità dei trattenimenti in Albania. Tuttavia il governo persevera in una prassi la cui conformità al diritto dell’UE risulta attualmente oggetto di seri dubbi interpretativi. La compatibilità con il diritto UE. Il trasferimento delle persone già trattenute in Italia presso il CPR di Gjadër solleva infatti gravi dubbi di compatibilità con il diritto UE, in particolare alla luce dei rimpatri effettuati direttamente dall’Albania verso l’Egitto il 9 maggio 2025: un volo charter partito da Roma e diretto a Il Cairo ha fatto tappa all’aeroporto internazionale di Tirana solo per far salire a bordo cinque persone di origine egiziana. Sebbene la Commissione Europea abbia finora tenuto un atteggiamento piuttosto ambiguo, sostenendo l’inapplicabilità del diritto dell’Unione e la sola applicazione della normativa italiana, è evidente che il rimpatrio effettuato dall’Italia da suolo e infrastrutture albanesi (quale l’aeroporto di Tirana, per esempio) crea non poche questioni di conformità alla normativa eurounitaria. Durante tali operazioni di rimpatrio, infatti, le Autorità italiane non hanno alcuna possibilità concreta di assicurare i diritti e le garanzie che la Direttiva Rimpatri prescrive in materia di esecuzione dei rimpatri di cittadini di paesi terzi; in particolare, l’Italia non può assicurare la proporzionalità dei mezzi di coercizione, la ragionevolezza dell’uso della forza, e il monitoraggio effettivo delle operazioni che sono di fatto poste sotto il controllo delle Autorità albanesi. ASGI ha elaborato un’analisi giuridica degli ultimi avvenimenti. Monitoraggio e denuncia delle violazioniAlla luce di ciò appare fondamentale condurre azioni di monitoraggio, strutturare strategie di supporto legale e un’azione sistematica di decostruzione critica e di contronarrazione rispetto all’iniziativa del governo italiano.Grazie alle missioni di monitoraggio condotte dal Tavolo Asilo e Immigrazione, con il supporto di parlamentari italiani ed europei, sono state documentate numerose violazioni sistemiche degli standard previsti dalle direttive europee in materia di asilo e accoglienza, nei centri albanesi adibiti al trattenimento. Report e testimonianze evidenziano: trasferimenti forzati senza comunicazione preventiva adeguata, condizioni di trasporto degradanti, con l’uso di fascette o manette, grave sofferenza psicofisica e episodi di autolesionismo tra i migranti trattenuti, accesso negato alla tutela legale, con ostacoli alla difesa e mancata informazione sulle procedure, ccondizioni di trattenimento inadeguate e violazione del diritto alla salute. Un allarme per la democrazia. L’ASGI chiede la dismissione immediata delle strutture detentive situate in Albania e l’abbandono del Protocollo Italia-Albania, in quanto lesivo dei diritti fondamentali. Le sentenze già ottenute dimostrano la fragilità giuridica di questo sistema, che continua ad essere più uno strumento di propaganda giocato sui diritti delle persone, che una politica di gestione dei flussi migratori. Le politiche di contenimento della mobilità non riguardano solo i migranti: testano strategie che potrebbero in futuro essere estese ad altri ambiti sociali, minando i diritti di tutti. Contestare queste misure significa difendere i principi democratici e riaffermare la centralità dei diritti umani. |




