“Stay human: Africa”. Un viaggio nella giungla
di Veronica Tedeschi
C’era una volta un paese completamente verde, immerso in una giungla così fitta da risultare quasi oscura. Un paese in cui le specie animali presenti sono centinaia, un paese allegro e spensierato, nonostante tutto…
La Sierra Leone, un piccolo Stato dell’Africa nord occidentale, ha vissuto molti periodi tristi dopo i quali è sempre riuscita a rialzarsi con forza e determinazione: a partire dalla sanguinosa guerra civile scoppiata nel 1991 e durata fino al 2002. In questo lungo periodo si sono affrontati i ribelli del Fronte Rivoluzionario unito (sostenuti dalle forze speciali del National Patriotic Front of Libera) e le forze governative comandate da Joseph Momoh. Il bottino di questi scontri erano le miniere di diamanti presenti in tutto il sud est del paese; intervenne anche la comunità internazionale per promuovere un negoziato che si concluse il 27 marzo 1999 con la firma dell’accordo di pace di Lomè, dopo il quale un contingente delle Nazioni Unite si stabilì nel paese per sovraintendere il processo di disarmo.
Padre Vittorio, un virtuoso missionario italiano che ho avuto la fortuna di conoscere nel mio viaggio in Sierra Leone, ci ha raccontato qualcosa in merito a quel periodo molto difficile. Lui, in quanto fedele di Dio, lottò in prima linea per la difesa dei civili e la liberazione di bambini soldato (pratica utilizzata dai ribelli durante la guerra)… per lo meno fino a quando non fu rapito. Per ben due volte, nel 1999 e poi nel 2000 con altri fratelli, fu rapito dal Ruf, il fronte dei rivoluzionari.
Questi eventi non l’hanno mai abbattuto né ha mai desiderato di tornare in Italia, si considera un sierra leonese adottivo e non abbandonerà mai questa sua vocazione.
Camminando per le strade di Kabala, il villaggio in cui mi trovavo, ho percepito la stanchezza di una popolazione che subito dopo la guerra civile ha dovuto affrontare anche un’altra guerra, quella contro l’ebola.
Anche su questo argomento Don Vittorio ci ha raccontato la sua vita da missionario che portava il riso ai malati, senza mai potersi avvicinare troppo, pregava con loro e il suo cuore non li ha mai abbandonati. Fu una vera e propria epidemia, morirono tanti fratelli e il divieto di contatto tra le persone appesantì ulteriormente il clima di disagio e paura in tutta la nazione. Il 30 luglio 2014 il governo della Sierra Leone dichiarò lo stato di emergenza e schierò le truppe del governo per mettere in quarantena i “punti caldi” dell’epidemia.
All’inizio del mese di agosto a Freetown iniziarono le campagne per sensibilizzare la popolazione, mediante trasmissioni radiofoniche (molto utilizzate dalla popolazione) o attraverso gli altoparlanti delle automobili. Davanti ad ogni casa in cui viveva un malato di ebola vi erano almeno 2 soldati di controllo: chi portava cibo o preghiere non poteva avvicinarsi a meno di 5 metri dalla casa.
L’epidemia di ebola provocò la morte di circa 4.000 persone; dopo la Libera, la Sierra Leone fu il secondo paese con il maggior numero di decessi. Finalmente il 17 marzo 2016 fu ufficialmente dichiarata “ebola free”.
Durante tutto il mio soggiorno in Africa, il pensiero è sempre stato rivolto al passato di questa popolazione, al dolore patito dalle persone che ora mi stavano accogliendo nelle loro case. Guerra ed ebola ora non ci sono più ma il disagio e la povertà nella vita di queste persone è tangibile e, ancora una volta, grazie a loro sono tornata dall’Africa più ricca di forza, un’energia inspiegabile trasmessa da una popolazione che ne ha passate tante ma che presto tornerà a camminare con le proprie gambe.