Una vita in carrozza

di Martina Foglia
Cari lettori,
non vi fate ingannare da questo titolo la carrozza in questione non è quella di una famosa favola che a mezzanotte si trasforma in zucca, non è nemmeno trainata da cavalli e per ora non è previsto nessun principe azzurro, anche se per certi versi e per le esperienze che ho vissuto posso considerarla comunque una “favola”.
In questo mio scritto, voglio raccontare in maniera realista e con un tocco di ironia la mia vita di persona con disabilità o meglio il mio rapporto con la disabilità che ad oggi ė come le montagne russe un sali-scendi tra accettazione e conflittualità.
Andiamo con ordine: nasco di sei mesi evidentemente mi ero stancata di stare nella pancia di mamma seppur molto comoda. Insomma anche all’epoca la pazienza non era il mio forte. Io volevo vedere il mondo e scoprire altre cose…di cose ne ho scoperte fin troppe ,molte soddisfacenti tante altre abbastanza deludenti, ma questo lo dico adesso consapevole donna 38enne.
All’epoca vedevo solo il lato positivo delle cose cerco di farlo tutt’ora, ma adesso la visione positiva di una situazione non appare sempre così immediata come quando si è bambini, anche se secondo la mia esperienza non bisogna mai smettere di cercare il lato positivo anche laddove non sembra esserci… A volte semplicemente ci vuole tempo e si fa tantissima fatica, ma vi posso garantire che è sempre lì pronto a sorprenderci e a svoltare una giornata che sembrava da dimenticare! Con questo non voglio dire che nella mia vita non vivo emozioni spiacevoli o turbamenti per la mia condizione, anzi chi vive nella mia condizione con una tetraparesi spastica, perché questa è la mia diagnosi, cioè quell’ incapacità di muovere totalmente gli arti inferiori e una ridotta capacità di movimento negli arti superiori, purtroppo si trova a dover avere a che fare,fin da subito, con una parola antipaticissima con la quale però dovrà fare i conti per sempre quantomeno per assolvere le sue funzioni vitali : mangiare bere igiene personale… questa parola è DIPENDENZA
Sì, la dipendenza costante da qualcuno che a lungo andare, nel mio caso può diventare qualcosa di “tossico” per l’anima perché limita la mia libertà. In questo caso non si può adottare nessuna magia come invece si fa nelle favole. L’unica cosa da fare è accettare questa dipendenza come parte di te; facile no ?
NO direi proprio di no.
Lo dico adesso che sono adulta, prima non ci facevo così caso, ma adesso mi pesa.
“Organizziamo l’uscita insieme? La mia risposta è data dall’istinto: “siiiii”, ma poi mi ricordo… Oh cavolo devo chiedere ai miei genitori, gli unici con una macchina attrezzata con pedana…
E allora la mia risposta diventa un: “mi piacerebbe ma devo chiedere..” per fortuna loro mi danno quasi sempre una risposta positiva perché mi amano e io per questo li ringrazio immensamente perché non mi hanno mai negato nulla, o meglio quasi mai.
Una volta risolta la questione dell’accompagnamento non è finita mica qui pensavate fosse così semplice … Invece c’è un’altra domanda da porsi dove si va? O meglio, il luogo è realmente accessibile? Quando si pensa all’accessibilità, primariamente si pensa a una struttura il cui ingresso non prevede i gradini E allora magari mi sento dire… “Sì il locale è sprovvisto di gradini all’ingresso”. Questo è solo un primo step; se il locale in questione è un ristorante io devo poter mangiare comodamente sotto il tavolo e non a due metri di distanza costringendo l’accompagnatore di turno, dato che qualcuno mi deve imboccare, a fare degli esercizi di contorsionismo . Inoltre, se dovessi assolvere alle mie funzioni biologiche vitali? Ecco che un’altra domanda sorge spontanea: “il bagno è a norma?” , una domanda che non andrebbe posta perché dovrebbe essere una cosa assodata dato che c’è una legge che OBBLIGA tutti i locali ad avere un bagno accessibile, invece no ancora oggi bisogna fare questa domanda:”avete un bagno accessibile? Cosa che che trovo assurdo dover chiedere visto che siamo nel 2025 in Italia, che dovrebbe essere uno dei paesi più avanzati per questo tipo di problematica; alcune volte la risposta è “no signora il bagno non è accessibile.” Qui la scelta: rinunciare completamente all’esperienza negandomi di fatto la possibilità di vivere una cosa a cui tengo ,o andare sapendo che dovrei limitarmi nel bere perché non posso fare plin plin, ma vivere comunque una bella esperienza con i miei amici? A volte mi è capitato di rinunciare, ma il più delle volte io vado comunque e mi godo l’esperienza!. Un altro aspetto della accessibilità e un altro capitolo da aprire, è quello dei luoghi deputati a ospitare spettacoli o concerti.
Io vivo in una città come Milano che dovrebbe essere la più progredita in questo senso, per certi aspetti è migliorata molto rispetto agli anni passati, ma c’è ancora molto da fare.
Un luogo non è considerato “ACCESSIBILE “solo in quanto sprovvisto di gradini e dotato di una rampa all’ingresso(o ascensore per salire al piano successivo (poi qui bisognerebbe aprire un altro capitolo su quanto deve essere grande l’ascensore), no questo non basta; se io acquisto dei biglietti per andare a vedere un concerto io esigo vederlo in totale sicurezza e comodità.. sarà davvero così? Se sul concetto di sicurezza posso provare a capire l’idea di essere “relegata” su una pedana rialzata, non posso capire altre cose strettamente connesse.
La prima perché l’accompagnatore debba stare dietro e non ragionevolmente accanto alla persona con disabilità grave che necessita di continua assistenza .
Si eviterebbero cosi all’accompagnatore o accompagnatrice di fare continui esercizi di contorsionismo e alla persona con disabilità di farsi venire il torcicollo per chiamarlo/la. Secondo aspetto; io mi trovo , come altre persone, in un palazzetto o in un teatro per vedere lo spettacolo non solo per ascoltarlo, quindi si presuppone che i miei occhi abbiano la più ampia visione possibile invece…no, hanno pensato (viene il dubbio se possa essere un vero pensiero o una deficienza) di porre proprio davanti agli occhi delle persone con disabilità una bella barra di acciaio per di più anche abbastanza spessa così da impedire la visuale, capite bene allora che il mio diritto di vedere un spettacolo o un concerto non viene assolto. A meno che, come nel caso dei concerti, non vengano previsti i cosiddetti megaschemi: la mia salvezza!
Non voglio dire che la mia vita sia frenata da queste complicazioni perché comunque io per carattere le esperienze cerco sempre di viverle al meglio e guarda caso anche quelle che sono nate come negative dal punto di vista dell’aspetto meramente logistico, hanno avuto poi un risvolto molto positivo e molto entusiasmante. Certamente però questi disagi ultimamente, hanno risvegliato in me qualcosa che credevo sopito che era lì ma era latente : il dolore immenso per la mia condizione che, pur essendo una condizione che mi permette di vivere una vita dignitosissima, pur dovendo rinunciare a volte, come del resto tutti noi a delle esperienze, ultimamente mi condiziona molto, forse perché ho acquisito maggior consapevolezza della mia condizione.
Se acquisire maggior consapevolezza, oggi significa anche vivere con questo dolore,allora secondo me bisogna provare ad accoglierlo anche nelle sue manifestazioni più estreme e nelle sue molteplici varianti.
Quante volte il dolore ha “bussato alla mia porta” e io ho cercato di reprimerlo di non ascoltarlo . Ho capito solo da pochi anni, che il dolore è una parte di noi che deriva da un’emozione iniziale. Le emozioni non vanno mai spente né represse. Il dolore ti consuma ti devasta ti trasforma, ma se questo dolore a posteriori serve per ricostruirti più forte e più consapevole di prima allora forse secondo me vale la pena di viverlo. Personalmente credo che a volte, dopo un intenso dolore anche il più grande, può succedere qualcosa di bello che ci sorprende! Ve l’ho detto questo articolo non è una favola e non ha il classico happy end, ma un continuo working in progress.
Io sono stata capace e lo sarò ancora in futuro, di amare la mia carrozza, perché grazie a lei e grazie alle persone che mi hanno educato, in primis i miei genitori, ma poi anche la scuola che mi ha fatto sempre sentire inclusa ho vissuto tante bellissime esperienze,sono stata in tante città ho conosciuto culture diverse e tutto questo GRAZIE a LEI.
È importante poi avere una rete di amici che come nel mio caso,non ti facciano sentire un PESO, che non ti facciano sentire l’ultima ruota del carro o in questo caso della carrozza, insomma avere una rete sociale ad ampio raggio ed è importante anche saperla costruire e saperla mantenere che non è facile, ve lo garantisco.
Non è facile essere sempre ACCOGLIENTI ma bisognerebbe provarci quantomeno cercare di circondarsi di persone che lo siano
E poi, secondo la mia esperienza, anche noi accoglierci per come siamo, è un percorso lungo tortuoso e difficile ma necessario.
Allora avremo raggiunto una piccola grande vittoria.
Chiudo dicendo che secondo la mia esperienza non bisogna arrendersi all’evidenza bisogna lottare per una vita migliore, se un’esperienza ci sembra ostica da compiere non neghiamocela a priori, chiediamoci se ci sono alternative, se poi di fronte all’oggettività vediamo che non è fattibile solo allora rinunciamo, finché c’è un barlume di speranza crediamoci.
Secondo me la mia vita molto spesso è come una montagna: la salita è faticosa, ma poi il panorama è stupendo.

Capisco benissimo quello che dici carissima ed hai pienamente ragione.. Noi io e mio marito combattiamo ogni santo giorno da 19 anni con questi problemi. Noi abbiamo un figlio tetraplegico carrozzato pure lui tetraparesi spastica bilaterale..