Diario di sopravvivenza nella Striscia di Gaza: la testimonianza di Hussain

di Camilla Mercadante
Vive a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Si chiama Hussain, ha 29 anni, e oggi condivide una tenda con dieci persone:
i suoi genitori, i fratelli, la moglie di uno di loro e due bambinə.
Prima della guerra, ciascun nucleo familiare aveva una casa propria. Attualmente, invece, vivono tuttə insieme nella fame e nel
dolore, sospesə tra le macerie del presente e l’attesa di una vita diversa, degna del suo nome.
Ho conosciuto Hussain per caso, su Instagram, grazie a un post in cui chiedeva aiuto per la sua famiglia. Comunicare non è stato
semplice: le barriere linguistiche, la delicatezza dell’argomento, la paura di risultare invasiva in un momento così tragico. Eppure,
sebbene con qualche esitazione, si è fidato di me. Mi ha raccontato il suo quotidiano sotto le bombe, i sogni spezzati e la speranza –
ancora viva – di ritrovare la pace perduta.
Mentre raccoglievo le sue risposte, sentivo le lacrime salire agli occhi. È difficile restare neutrə – e ancora di più restare inermi –
quando davanti a te c’è qualcunə che ha perso tutto: la casa, il lavoro, la salute, ə parenti. E continua comunque a parlarti con rispetto, con gentilezza. Quasi scusandosi di dare fastidio.
Perché vivete tuttə insieme?
“All’inizio ogni famiglia aveva la propria casa, ma adesso le nostre abitazioni sono state completamente distrutte dalla guerra e ci siamo rifugiatə nelle tende.”
Come vivevate prima dell’attuale conflitto tra Israele e Gaza?
So che purtroppo non è la prima volta che la Striscia di Gaza viene colpita, ma questa guerra – guidata dal governo di Netanyahu – è stata definita da molte organizzazioni internazionali come un possibile genocidio.
Secondo te, la vita era migliore, uguale o peggiore prima del 7 ottobre 2023?
“Prima la nostra vita era molto migliore. Avevamo delle case, una vita dignitosa, un reddito. Avevamo dellə amichə, una grande famiglia. Purtroppo ho perso più di 50 persone, di cui 27 erano parenti.”
In mezzo a tanto dolore, cosa ti dà ancora la forza per andare avanti? “Mio padre, mia madre, la mia famiglia e i figli di mio fratello.”
Da quando è iniziata questa guerra, c’è un momento o un’immagine che ti ha spezzato il cuore e che non riesci a dimenticare? Forse qualcosa che riguarda ə tuoə nipotinə, Majed e Mayar, o un ricordo che ti porti dentro ogni giorno?
“Tantissimi eventi e immagini, sorella. Sono troppi i momenti che ci portiamo dentro.”
Vuoi raccontarmene uno?
“È una domanda davvero difficile. Forse non riesco a descriverli.”
Qual è l’effetto del suono costante delle sirene e delle esplosioni sulla vostra vita quotidiana e sulla vostra salute
mentale?
“Sinceramente ci siamo abituatə. All’inizio avevamo tantissima paura, ma adesso succede sempre e siamo tristemente abituatə.
La nostra condizione mentale è pessima.”
La maggior parte delle volte mangiate alimenti estremi, come foglie, erba o cibo avariato. Posso chiederti, con tutto il rispetto, se riuscite davvero a nutrirvi in questa maniera, oppure spesso il corpo reagisce male?
“Certo, sentiamo nausea e abbiamo problemi di digestione. A volte
ci ammaliamo.”
Che tipo di cibo mangiate, quando riuscite a trovarlo?
“Dipendiamo dai cibi in scatola. Fagioli, piselli, ceci, fave, lenticchie, riso, pasta.”
È cambiato il costo della vita a Gaza da quando è iniziata la guerra. I prezzi dei beni essenziali, tra cui cibo, acqua e
medicine, sono aumentati. Riuscite ancora a trovare ciò di cui avete bisogno? Fammi un paio di esempi sui prezzi dei
prodotti alimentari.
“I prezzi sono alle stelle. Un chilo di pomodori costa 25 dollari. Le patate 30, il riso 15, le lenticchie 10.”
Secondo te, chi trae profitto da questa situazione? Che cosa provate quando pensate al fatto che all’interno della Striscia
tutto sia diventato merce rara e inaccessibile?
“Ci sentiamo impotenti. A guadagnarci sono solo ə commercianti che collaborano con l’occupazione israeliana.”
Com’è la situazione sanitaria a Gaza, al momento?
“Il sistema sanitario è completamente crollato. Nemmeno antibiotici o medicine si trovano più.”
So che il tuo nipotino Majed, di tre anni e mezzo, ha avuto una malattia della pelle. Cosa è successo? Avete capito da cosa è stata causata? Siete riuscitə a curarlo?
“A causa dell’acqua contaminata, tutto il suo corpo si era riempito di bolle rosse, aveva tanto dolore e un prurito molto forte. Dopo un
mese e mezzo di cure siamo riuscitə a farlo guarire.”
È stato curato in ospedale?
“Sì, insieme a un medico esperto in erbe naturali.”
Avete dovuto pagare le cure? Se sì, quanto?
“Sì, ma non ricordo con precisione il costo. Erano circa 600 dollari.”
Chi ha pagato?
“La somma è arrivata tramite la campagna di raccolta fondi.”
In generale, a Gaza, avete accesso ad acqua pulita, servizi igienici e almeno a un minimo di condizioni adeguate per
proteggervi dalle malattie? E se no, tu e la tua famiglia siete riuscitə a trovare delle soluzioni alternative?
“Onestamente, sono quasi del tutto inesistenti. E no, non abbiamo trovato delle soluzioni.”
Prima della guerra lavoravi in un negozio di abbigliamento, unica fonte di reddito per la tua famiglia. Cosa è successo al
negozio? Riuscite ancora a guadagnare qualcosa da quel lavoro, oggi?
“Il negozio è stato distrutto. Tutta la merce è andata bruciata.”
Hai avviato una raccolta fondi su Chuffed per aiutare te e la tua famiglia a sopravvivere e, magari un giorno, ricominciare.
Perché l’hai creata? Cosa speri che accada grazie a questa campagna?
“Dopo che ho perso il negozio e i soldi, ho deciso di creare una raccolta fondi con l’aiuto di un’amica. L’obiettivo è ottenere il denaro
necessario per soddisfare i nostri bisogni primari. E poi grazie al vostro sostegno, quando la guerra finirà, spero di poter ricominciare da capo e riaprire il negozio con quei soldi.”
Ə tuoə genitorə sono anziani. Come stanno, fisicamente ed emotivamente?
“Mio padre è molto stanco. Tuttə noi siamo a pezzi. Mia madre ha l’eczema alle mani. Sono piene di vesciche e ha la pelle spaccata.”
E la state curando?
“No. Qui non esiste un trattamento.”
Che opinione hai del rapporto tra Israele e Gaza, in particolare sulle decisioni del governo israeliano e dell’attacco di Hamas
del 7 ottobre?
“Non so rispondere.”
Ti faccio una domanda delicata, ma sentiti liberissimo di non rispondere, anche per ragioni di sicurezza personale e
famigliare. Tu, personalmente, cosa pensi di Netanyahu? E se potessi immaginare una fine possibile per la guerra attuale,
secondo te chi — o cosa — potrebbe davvero fermarla? Qualunque pensiero ti venga in mente va bene, anche se
crudo.
“Netanyahu è un criminale di guerra e un mostro. Forse la fine della guerra è vicina. Magari le pressioni su Netanyahu da parte di Trump, dell’Unione Europea e dei Paesi del Golfo porteranno alla pace.”
Nonostante tutto quello che stai passando, sei ancora in grado di immaginare un futuro diverso? Hai un sogno per il tuo
futuro o per quello della tua famiglia?
“Sì, ho un sogno e sento di avere un futuro, ma ho bisogno di aiuto perché a causa della guerra ho perso tutto. Il mio sogno è uscire da
questo Paese, aprire un’attività, sposarmi e avere una famiglia come tuttə ə giovani del mondo.”
Per concludere, vuoi mandare un messaggio al governo di Netanyahu, allə leader mondiali o a tutte le persone che leggeranno la tua storia?
“Voglio vivere in pace. Siate al mio fianco. Aiutatemi, vi prego.”
La testimonianza di Hussain si inserisce in un contesto umanitario devastante. Secondo le Nazioni Unite, il 93% della popolazione
della Striscia di Gaza è colpita da una grave privazione alimentare e 470.000 persone vivono già in condizioni di fame acuta, come
denunciato dal Segretario Generale dell’ONU António Guterres in un comunicato ufficiale pubblicato il 2 aprile 2025. A confermare la
criticità della situazione è anche l’UNICEF, che nel rapporto rilasciato il 17 giugno 2025 ha stimato che almeno 71.000 bambinə
sotto i cinque anni e oltre 17.000 madri sono a rischio di malnutrizione grave.
La situazione peggiora se si guarda ai dati clinici sul campo. A marzo 2025, infatti, l’UNRWA ha reso noto che unə bambinə su
dieci visitatə nelle sue cliniche soffre di malnutrizione estrema.
Intanto, secondo un’analisi resa pubblica dal Financial Times il 9 aprile 2025, il blocco imposto da Israele ha fatto salire i prezzi dei
rifornimenti alimentari fino al +312%, rendendo il cibo un lusso per ə gazawi.
Alla fame si aggiunge il collasso sanitario. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato nel suo aggiornamento del 13 maggio 2025 che circa l’80% delle strutture ospedaliere nella Striscia è oggi fuori uso, inagibile o gravemente danneggiato.
Mancano antibiotici, antidolorifici e persino disinfettanti di base.
L’acqua pulita è praticamente assente: il sistema idrico è stato distrutto, e la crisi igienico-sanitaria ha portato a una diffusione di
malattie infettive – soprattutto tra ə bambinə.
E allora viene spontaneo chiedersi: come possono ə principali leader della comunità internazionale, compresa la Presidente
italiana del Consiglio Giorgia Meloni, continuare a mantenere una posizione ambigua o addirittura silente di fronte a una catastrofe
umanitaria di tali proporzioni? Come può il governo italiano ribadire il proprio “sostegno incondizionato” a Israele, evitando
sistematicamente di nominare la Palestina, ignorando la realtà di migliaia di vittime civili, bambinə denutritə, ospedali rasi al suolo e
famiglie interamente sterminate? Le risposte, seppur scomode, sono sotto gli occhi di chiunque: interessi geopolitici, accordi
bilaterali di natura economica, militare e commerciale; alleanze strategiche che prevalgono sistematicamente sul rispetto dei diritti umani e sul diritto internazionale. Dietro questa apparente realpolitik si cela una pericolosa forma di complicità, alimentata da
un silenzio che sa di resa morale e politica.
Come cittadini e cittadine, come giornalistə, lettorə, testimoni, abbiamo ancora il potere – e il dovere – di non accettare una
narrazione dominante. Possiamo e dobbiamo scegliere da che parte stare. E non è necessario ricoprire un ruolo istituzionale per
farlo: basta rifiutare l’indifferenza, denunciare le ingiustizie, amplificare le voci che il mondo prova a zittire e donare a chi ne ha
necessità.
A tuttə voi che state leggendo: se credete che nessuno debba sopravvivere tra le macerie nell’indifferenza generale, potete fare la
differenza. La famiglia di Hussain ha attivato una raccolta fondi su Chuffed.org, una piattaforma sicura, trasparente e senza commissioni – pensata per sostenere cause umanitarie in tutto il mondo. Donare è semplice: si può contribuire con una cifra unica o attivare una donazione mensile ricorrente – un vero e proprio abbonamento solidale – che può essere interrotto in qualsiasi momento, con un solo clic. Anche pochi euro possono trasformarsi in cibo, acqua, cure mediche e riparo. Non possiamo fermare la guerra, ma possiamo fare qualcosa di concreto per la sopravvivenza di queste persone e decidere di non voltarci dall’altra parte. Abbiamo la possibilità di difendere insieme la dignità umana.
Non dovremmo sprecarla.
Di seguito, troverete il link che vi porterà alla raccolta fondi di Hussain:
https://chuffed.org/project/124752-urgent-help-hussain-rebuild-after-gaza-war

Articolo editato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale*




