Quale Islam ha imparato Silvia
#SilviaRomano è tornata tra noi, è a casa. Convertita all’Islam, sì. Ora, che sia stata plagiata o che sia una conversione autentica, lo dirà il Tempo e, se Silvia vorrà, un percorso di consapevolezza che potrà affrontare. Ma nessun altro può deciderlo, soprattutto noi.

Per alimentare il dibattito e per dare ulteriori informazioni, oggi Associazione Per i Diritti umani pubblica la riflessione di Atai Walimohammad, autore del libro “Ho rifiutato il paradiso per non uccidere“, afghano, testimone diretto della brutalità dei talebani. Le sue considerazioni sono utili per conoscere e riflettere, ma in questo momento e oltre, lasciamo in pace #SilviaRomano perchè solo lei – e chi ha vissuto una esperienza come la sua – può comprendere le ragioni delle sue scelte e dei suoi comportamenti.
QUALE ISLAM HA IMPARATO SILVIA
Non esiste più un Islam solo, ci sono tante persone che seguono “l’islam fai da te”. I terroristi (talebani, ISIS, Bukuharam, l’Alshabab) professano un Islam inventato per i loro interessi, che invita ad uccidere chiunque non obbedisca ai loro comandamenti.
E poi quale Islam ha imparato Silvia dagli jihadisti e rapinatori in Somalia?
Quello pseudo religioso che viene utilizzato quotidianamente dai terroristi per tagliarci la testa? Quell’ Islam inventato che dice: gli uomini hanno potere assoluto sulle donne e queste sono private di ogni diritto; dietro ai loro burqa, i soffocanti veli integrali che le ricoprono da capo a piedi, non possono neanche vedere, respirare, parlare, ridere liberamente e se malauguratamente i loro passi giungono all’udito di un uomo, rischiano di essere fustigate in pubblico per il ludibrio delle folle. Private di un volto, di una voce, di libertà di movimento, della stessa dignità di essere umano.
Nel caso dell’Afghanistan le donne che fino al 1994, esercitavano la professione di medico, ingegnere, infermiera o qualunque altro mestiere, sono state nascoste dietro il burqa e segregate in casa sotto lo stretto ed asfissiante controllo degli uomini.
E poi quale Islam ha imparato Silvia dagli jihadisti e rapinatori in Somalia?
Quello dell’attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine, che prende di mira le scuole, i nostri centri culturali, università e luoghi di culto? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con gli jihadisti, che dice che bisogna uccidere i non musulmani per andare in paradiso? Che bisogna sgozzare chi non obbedisce alle loro idee inumane? Quello che ha provocato a Garissa in Kenya 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un’intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell’orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?
Le donne che vivono sotto il controllo dei fanatici e terroristi sono costrette a insostenibili condizioni di vita, molte si lasciano morire, altre si suicidano anche dandosi fuoco; mancano, per loro cure mediche, visto che non possono essere visitate da medici uomini e le donne non possono più studiare e lavorare…Altre sono afflitte da comprensibili problemi psichici.
No, non è Islam questo.
E’ bestemmia verso Allah e tutte le vittime.
I simboli, soprattutto quelli sul corpo delle donne, hanno un grande valore. E quella tenda verde NON rappresenta l’Islam autentico, ma rappresenta i fanatici e fondamentalisti!
Mi sarei aspettato una reazione forte da Silvia contro gli jihadisti che l’hanno trattenuta per 18 mesi, che avrebbe parlato contro loro perché gli jihadisti hanno ucciso centinai delle donne e ancora sono tante le donne nelle carceri dell’ ISIS e di altri gruppi terroristici che vogliono liberarsi. I fondamentalisti Jehadi, hanno commesso i peggiori crimini contro le donne, e poiché sempre più aree entrano il loro controllo – anche se il numero delle violenze e dei crimini perpetrate contro le donne diminuisce – le restrizioni dei terroristi continuano a ucciderle nello spirito e a privarle di una degna esistenza umana.