Modelli abitativi per la disabilità: le strutture residenziali sono alternative valide?

di Camilla Mercadante
Il 9 luglio scorso, su Superando.it, Giovanni Marino — Presidente Nazionale di ANGSA (Associazione Nazionale Genitori PerSone Autistiche) — ha pubblicato un articolo che ha sollevato molte polemiche (https://superando.it/2025/07/09/le-residenze-non-sono-istituti-ma-modelli-abitativi-progettati-a-misura-dei-bisogni-assistenziali-delle-persone/).
Secondo il testo, infatti, le persone con disabilità impattanti non avrebbero la possibilità di autodeterminarsi. Di conseguenza, non si dovrebbe garantire un diritto universale alla libertà di scelta, ma andrebbe riconosciuto solo quando
l’individuo è “in grado di intendere e volere”. Chi non rientra in questo schema — per l’autore — dovrebbe essere collocatə in strutture residenziali, da lui definite “modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali”.
Marino afferma inoltre che lo Stato italiano, attualmente, risponde meglio ai bisogni di chi ha meno necessità oggettive favorendo percorsi di vita indipendente anche laddove (a suo giudizio) non ci sarebbero condizioni sufficienti.
Incoerentemente, però, sottolinea che spesso le famiglie che si fanno carico dell’assistenza dellə propriə figliə con disabilità complesse sono lasciate sole, mentre le persone disabili più autonome riceverebbero maggiori risorse socio- economiche e visibilità pubblica.
In breve, il suo ragionamento si potrebbe riassumere così: non tutti i soggetti con disabilità dovrebbero avere accesso agli stessi diritti, perché non tutti sarebbero in grado di gestirli. Al contrario, chi insiste troppo sull’autonomia e la libertà rischierebbe — sempre secondo il Presidente di ANGSA — di sostenere un’ideologia astratta, scollegata dalla realtà, che finisce per trascurare
le esigenze di chi ha davvero bisogno.
Questo è il quadro che propone.
Ecco cosa c’è che non va — e perché dobbiamo dire le cose come stanno.
Prima di tutto, smettiamola di raccontare che gli istituti siano modelli abitativi su misura. È un falso mito. Nella maggioranza dei casi, non sono né case, né luoghi di cura dignitosa. Sono strutture dove le persone vengono private della
libertà, dove ogni gesto — dai pasti agli orari, dai rapporti sociali ai desideri — è regolato da protocolli, orari rigidi e logiche istituzionali che cancellano l’individualità. Le chiamano “residenze”, ma sono resti moderni di un sistema istituzionalizzante che non ha mai dato davvero spazio ai diritti e dove — ricordiamoci — per decenni sono stati compresi i manicomi, fino alla Legge di Basaglia del 1978.
Le persone disabili che vivono in tali strutture non hanno quindi una vera possibilità di scegliere, né come vivere, né con chi. Quella non è vita, è sopravvivenza organizzata da altrə. E sapete perché lo so? Perché conosco
persone disabili completamente isolate che vivono in queste cosiddette “residenze”.
Poi c’è il nodo più tossico dell’articolo: la retorica della disabilità “vera” contro quella “furba”. Marino insinua che esistano persone disabili “approfittatrici” e “scaltre”, che manipolerebbero il sistema per ottenere più di quanto spetti loro, anche economicamente. Le definisce perfino “nababbi” e “casi umani commoventi”. Sarebbero questi i soggetti che godrebbero della benevolenza dello Stato, mentre gli altri nuclei familiari in difficoltà vengono ignorati.
Eppure, questo è un modo infame di spaccare il fronte, di dividere la comunità tra disabili meritevoli e disabili sospettə. È un buon metodo per delegittimare chi combatte, chi si espone, chi denuncia, chi parla in prima persona. L’ennesima tecnica con cui si prova a far tacere le persone disabili adulte, in particolare quelle che rivendicano i propri diritti. È una forma velata ma
violenta di colpevolizzazione: se chiedi libertà, sei ideologicə; se parli, sei falsə; se sogni una vita diversa, stai togliendo qualcosa a qualcun altrə.
Marino poi continua a parlare delle famiglie — come se fossero gli unici personaggi legittimi in questa storia. E invece no. Le persone disabili non sono proprietà privata, e neppure eternə bambinə. Abbiamo idee, sogni e voci.
Abbiamo diritto a dire: “È la mia vita, e la voglio vivere a modo mio.”
Infine, c’è un’ipocrisia insostenibile nel dire che la libertà debba essere concessa solo a chi può comprenderla appieno. Allora perché le persone con disabilità intellettive, o autistiche non verbali, non vengono messe nelle condizioni di usare forme di comunicazione alternativa e aumentativa per esprimere i loro desideri reali? Perché si nega loro la possibilità di essere ascoltate con altri linguaggi, invece di “sostituirle” con frasi altrui?
Non è vero che la vita indipendente è una moda culturale, ma una battaglia di civiltà.
Non è vero che gli istituti rispettano la dignità. Molte la cancellano.
Non è vero che chiedere diritti è un abuso, bensì è un atto di giustizia.
Noi vogliamo vivere, non essere gestitə.
Vogliamo rispetto, non assistenza senz’anima.
Vogliamo supporto, non controllo.
E sì, vogliamo scegliere, anche se ciò disturba chi è abituatə a decidere tutto per noi.
Basta paternalismo. Basta colpevolizzazioni. Basta bugie.
Chi continua a proporre strutture come “modello abitativo” si prenda la responsabilità di chiamarle con il loro vero nome: luoghi dove spesso si sopravvive, ma non si vive.
Ci avete rinchiuso troppo a lungo nei vostri modelli. Adesso costruiremo i nostri mondi, e non saranno gabbie.
E un’ultima cosa, forse la più urgente: le parole contano. Quando chi ha potere descrive ə disabili come “nababbə”, “approfittatorə”, “casi umani commoventi” o “scaltrə”, sta facendo violenza. Sta deformando la realtà, creando mostri sociali e alimentando odio. Sta rendendo più difficile la vita a chi lotta quotidianamente per sopravvivere, autodeterminarsi, amare, scegliere.
Perché le parole costruiscono immaginari, leggi, sguardi, pratiche… che possono segregare o liberare.
E noi utilizzeremo le parole per liberarci.
Ho deciso di sostenere la lettera aperta indirizzata ad ANGSA (https://personecoordnazionale.it/istituzionalizzazione-non-retoriche-accomodanti-ma-un-cambiamento-strutturale/) perché credo in una società che non escluda nessunə, in cui noi persone disabili e/o autistiche non siamo oggetti di mercificazione e narrazione,
ma soggetti attivi nelle NOSTRE decisioni.
Tra ə primə 200 e più firmatariə ci sono:
• PERSONE – Coordinamento Nazionale Contro la Discriminazione delle Persone con Disabilità
• Neuropeculiar APS
• Tantissime persone autistiche e disabili.
Per firmarla, dovete inviare una mail a personecoordnazionale@gmail.com con il vostro nome e cognome (o il titolo della vostra realtà associativa), specificando la lettera che volete sottoscrivere.
Facciamoci sentire. Adesso!
Articolo editato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale*





Brava cammy