ANI l’Imamah
di Ivana Trevisani
Che le donne musulmane, con o senza velo, non sono mute, potrebbe essere quasi un’ovvietà, purtroppo il dilagare dei luoghi comuni intorno ai soggetti rende l’affermazione necessaria. Il vero problema infatti non è la mancanza di voce delle donne musulmane, quanto piuttosto il silenzio del sistema informativo in merito alla loro parola, al loro pensiero, al loro agire.
I veli in realtà sembrano stesi più sulle nostre ignoranze che sulle loro teste.
L’incontro alla Casa delle Donne di Milano con la Imamah di origine malese, ma residente a Los Angeles, Ani Zonneveld, è stato l’occasione per uno squarcio nella spessa cappa di ignoranza che avvolge le molteplici realtà delle donne musulmane.
La Imamah, già… una donna Imam che invita alla preghiera e la guida in moschea per donne e uomini che pregano insieme.
Comunque Ani ha voluto chiarire il valore e il senso che dà al suo ruolo di guida spirituale: non confinato nello stupore dell’eccezionalità della sua attribuzione a una donna, ma iscritto in un orizzonte molto più ampio “ Sono Imamah mio malgrado, quello che a me interessa veramente è l’aspetto teologico che dice le donne e gli uomini uguali, perchè questo può rendere migliore la vita di tutti e soprattutto per le donne musulmane.
A volte io invito alla preghiera e un maschio la conduce, altre volte viceversa un maschio invita e io conduco.” Una realtà che forse stupisce più una comunità cattolica credente o non credente che ancora non ha avuto la possibilità di vedere attribuire a una donna il ruolo di guida spirituale, ma di cui, nell’ambito musulmano della diaspora migratoria, Ani non è un caso isolato. Infatti nello stesso Nord Europa Sherin Khankan è Imam a Cophenaghen e Rabeya Muller lo è a Colonia e sono una decina nel solo mondo occidentale le donne imam.
In merito al movimento “Musulmani per i diritti umani” (“Muslim for Progressive Values”) che ha contribuito a fondare, con sedi oltre che negli Stati Uniti anche in Canada, Australia, Cile e in Europa in Francia, Belgio, Paesi Bassi Ani, l’imamah musicista e attivista, ci tiene a precisare “Non abbiamo inventato un nuovo Islam, ma ripreso il Corano; nel Corano uomini e donne sono spiriti uguali, e non esiste interdizione per la donna di invitare e condurre la preghiera. Del resto il Corano accetta anche i non credenti, basta che l’individuo sia una brava persona.
Nella prima moschea del Profeta (Maometto) la preghiera era aperta a donne e uomini insieme, lo stesso Profeta invitò Um Baraka a condurre la preghiera quando lui era assente: per 14 secoli ci hanno mentito!”
Già, ecco ricomparire l’inganno del patriarcato che piega al proprio volere di dominio e lo giustifica con un uso distorto e strumentale dei dogmi di fede e che purtroppo da sempre attraversa tutte le religioni.
Ce lo ha ricordato dal pubblico il professor Branca, islamologo dell’Università Cattolica di Milano, con l’abituale autocritica lucida e intelligente, dimostrando con due lancinanti esempi quanto la Bibbia sia misogina nel linguaggio“Troviamo la suocera di Pietro guarita da Gesù, suocera semplicemente, senza un nome e che presuppone quindi una moglie per Pietro, mai citata; o la madre dei figli di Zebedeo, anche lei senza un proprio nome.
Sono suocere di madri di mogli di, ma sono donne che non hanno un nome”
L’asserzione implicitamente rimanda al presupposto per cui il linguaggio riflette e rende menifesta la cifra di un pensiero e un atteggiamento della comunità, nella fattispecie segnata dal desiderio di dominio dei maschi nei confronti delle donne e il tentativo di cancellarne le identità non nominandole.
Continuando nello svelamento di sbrigativi luoghi comuni in meritò alla libertà femminile “Coprire le donne è senz’altro sessualizzarle, ma anche svestirle come in Occidente è usare sessualmente il corpo delle donne”, afferma con pacatezza ma decisione, questa donna minuta ma forte, senza velo in testa ma neppure nella conoscenza profonda e puntuale dei fondamenti religiosi della sua spiritualità, che la stessa Comunità le ha evidentemente riconosciuta accettandola come guida spirituale “L’Imam deve conoscere a fondo il Corano ed essere accettato dalla Umma (la Comunità), non è eletto/ordinato, come un prete.”
E uno snodo fondamentale tra religione e convivenza sociale è la famiglia fondata sul matrimonio, istituzione su cui ampiamente si gioca la strumentalizzazione delle indicazioni religiose
“Alle Nazioni Unite, in un mio intervento ho precisato che il Corano non sancisce il matrimonio a priori, è un contratto che si stipula tra due soggetti e dagòi stessi deve essere approvato, dall’uomo e dalla donna adulta . L’organizzaaione che ho fondato “Imam for she” ha una rete capillare di imam maschi che vanno nei villaggi a predicare il principio fondamentale del Corano per cui ‘le donne nel contratto matrimoniale possono dettare delle condizioni che il coniuge sarà tenuto a rispettare’. ” .
Ani ha riferito che in Burundi ci sono 26 Imam che vanno nei villaggi per organizzare Campi di formazione allo sport ma al contempo insegnano come leggere correttamente il Corano, “E’ un’attività molto importante, le ragazze hanno solo queste voci per conoscere i lori diritti. Inoltre è importante sapere che nel Corano è detto che una credente deve sposare un credente, credente, ma non necessariamente musulmano”
“Del resto anche quando le coppie vengono da me per essere sposate non lo faccio così, con leggerezza, ma faccio loro alcune domande mirate per sondarne la consapevolezza”
La conclusione di Ani non ha certo bisogno di commenti o analisi, semplicemente ci lascia ammirazione per la sua semplice lucidità e speranza che l’ enunciato possa diffondersi maggiormente, farsi pensiero e guidare l’agire anche di chi non legge il Corano
“Nel Corano è detto che nulla può cambiare se per primo non cambi te stesso”