Libertà è partecipazione: donne e politica
Care lettrici e cari lettori, ecco un altro report per voi. A cura di Giulia Carlini
“La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Così cantava Giorgio Gaber nel 1973. E per le donne, di ieri e di oggi, queste parole valgono ancora. Valevano per le partigiane della resistenza italiana, valgono per le ragazze di tutto il mondo che, dalle aule parlamentari, si impegnano per cambiare il proprio paese, e valgono anche per le donne che lottano per avere un’istruzione e un lavoro dignitoso.
Sono proprio questi i temi affrontati questa mattina al Festival dei Diritti Umani alla Triennale di Milano.
L’incontro – al Festival dei diritti umani – è iniziato con un dibattito sulla partecipazione femminile in politica, moderato dalla giornalista Azzurra Meringolo e con la partecipazione di Imen Ben Mohammed, deputata di Ennahda nel Parlamento tunisino, e Nagua Alba, eletta deputata per il partito Podemos alle ultime elezioni in Spagna.
Entrambe giovani e con un’incrollabile motivazione per migliorare le realtà dei loro paesi, Imen e Nagua si sono dovute confrontare con gli ostacoli imposti non solo dall’essere ragazze, ma anche cittadine di seconda generazione. Per loro il legame tra seconde generazioni e partecipazione attiva è fondamentale.
Imen definisce il suo ruolo come un ponte tra Italia e Tunisia, simbolo di una generazione che vive e comprende due culture e si sente appartenere a entrambe. Nata in Tunisia, a quindici anni è dovuta scappare in Italia con la sua famiglia a causa delle pressioni del regime di Ben Ali, poiché i genitori erano esplicitamente schierati contro la dittatura. Dopo aver conseguito una laurea in cooperazione allo sviluppo a Roma, prende parte alla rivoluzione del 2011 e viene successivamente eletta come membro del parlamento tunisino. Anche la sua elezione è un ponte fra le due appartenenze: è stata eletta mentre era in Italia tramite una circoscrizione straniera.
Secondo Nagua, nata e cresciuta a Madrid da genitori di origine egiziana, grazie a Podemos la popolazione spagnola è finalmente rappresentata appieno. Il partito ha infatti introdotto i giovani, le donne, i cittadini di origine straniera (tra cui la prima deputata afroamericana) in Parlamento, rappresentando la gente comune e spezzando i tabù della tradizione partitica.
Alla base dell’impegno politico delle due ragazze vi sono degli eventi di rottura col passato. Nagua ha preso parte al Movimento 15-M degli Indignados nel 2011, che l’ha incoraggiata a passare dal lavorare con i bambini, quindi con soggetti singoli, a un lavoro a carattere universale. La sua necessità di agire si basa sul volere liberare la politica da chi, sia a destra che a sinistra, la usa per i propri interessi personali, e riavvicinarla alle persone.
Imen, già molto attiva nella società civile italiana, si è avvicinata alla politica grazie alla rivoluzione araba del 2011. Ha portato in Tunisia l’esperienza e le conoscenze acquisite in Italia, entrando a far parte del movimento giovanile interno a Ennahda che vuole rinnovare il partito per renderlo il portavoce di una nuova democrazia.
Fondamentale il ruolo dei social network: spina dorsale dell’organizzazione di Podemos e del coordinamento della primavera araba, continuano a influenzare la politica tunisina, tanto che “la costituzione è stata fatta anche su Twitter” afferma Imen.
A chiusura del dibattito, Azzurra Meringolo ha esortato gli studenti presenti in sala: “Avete il diritto di partecipare alla politica, non fatevelo rubare”.
La mattinata è proseguita con la visione di due documentari sulla partecipazione ed emancipazione femminile.
Il primo, Eco de femmes di Carlotta Piccinini, racconta le vite delle donne rurali in Tunisia e Marocco tramite le testimonianze di sei incredibili personaggi, Zina, Jamila, Halima, Fatima, Cherifa e Mina. Ciò che le lega è la volontà di ribellarsi allo status quo: l’analfabetismo (al 50% in Tunisia e al 70% in Marocco) impedisce alle donne delle campagne di emanciparsi dalla condizione di sfruttamento lavorativo in cui vivono. Cherifa ha aperto coi propri risparmi un atelier di tappeti artigianali in cui fare formazione alle ragazze, Jamila insegna alle donne di un piccolo villaggio per contrastare le ideologie estremiste dilaganti, Fatima e Mina lavorano in cooperative che le aiutano garantendo loro un lavoro dignitoso, mentre Zina e Halima continuano ad essere sfruttate e sperano in un futuro migliore. Per tutte, studiare è la chiave che apre le porte della libertà: “per migliorare la condizione della donna rurale e toglierla dalla dipendenza, la cosa più importante è non lasciarla analfabeta” afferma Zina.
Il documentario è “l’eco di una nuova economia sociale, solidale e al femminile” che fa luce sulla forza motrice delle donne nel partecipare attivamente non in contesti politici, quanto piuttosto nelle comunità locali a livello sociale ed economico.
Il secondo documentario Con i messaggi tra i capelli – Ragazze della Resistenza trevigiana parla di partecipazione come resistenza, attraverso le storie delle partigiane venete intervistate dall’Associazione rEsistenze tra il 2003 e il 2015.
Secondo la giovanissima regista Chiara Andrich, sono “storie che ci riguardano, perché le protagoniste erano ragazze come noi, giovani. Sono storie di speranza per un futuro migliore e di libertà”. Lo scopo è quello di trasmettere l’esempio di donne che, con i loro semplici gesti, sono state eroine nella loro quotidianità. “Volevamo dare voce alle partigiane, eliminando lo stereotipo degli eroismi che non invitano a ribellarci”, afferma Laura Bellina dell’associazione rEsistenze memoria e storia delle donne in Veneto.
Tra biglietti nascosti nei capelli o sotto il sellino della bicicletta, cartucce nello zaino astutamente nascoste sotto la grammatica tedesca, liste di nomi dei partigiani nel reggicalze e lettere nel reggiseno, il documentario riesce nell’intento di raccontare la resistenza come un fenomeno collettivo, non ristretto a pochi eroi.
Come fa notare la partigiana ed ex ministro della Repubblica Tina Anselmi, 23000 donne parteciparono alla resistenza, tra cui alcune centinaia solo a Treviso, a volte imbracciando anche le armi. Quando gli uomini andarono al fronte le donne si diedero da fare nelle fabbriche e nelle campagne. Quando ci furono i rastrellamenti, le donne nascosero, camuffarono e nutrirono gli uomini. Portarono medicine, vestiti, cibo e messaggi senza sosta, rischiando la loro vita ogni giorno. Senza le donne non ci sarebbe stata alcuna Resistenza.
Il punto di vista del documentario è profondamente personale, e le intervistate ripercorrono i dolorosi ricordi con fatica e leggerezza. Dai racconti si evince che la maggior parte di loro iniziò perché di famiglia antifascista, per aiutare il padre o il fratello. Ma tutte continuarono per loro libera scelta. Non erano spinte da ideologie politiche, ma soprattutto da ciò che l’Anselmi definisce “pietas”, ovvero la volontà di salvare i mariti e i figli o, come scritto nelle carte di Bruna Fregonese “mamme, tante mamme che aspettano il figlio proprio e ospitano quello di altre”. Le donne non volevano fare la guerra, ma vincerne una per vivere in pace. Per questo motivo hanno subito orribili interrogatori, umiliazioni, violenze e torture. Per questo hanno rischiato tutto, relegando la loro vita a una costante riservatezza e attenzione, perché la loro attività doveva essere segreta per tutti.
In sala era presente una delle partigiane, Brunella. Alla fine della visione, la commozione era grande, lunghi gli applausi per l’anziana partigiana e tanti i ringraziamenti personali di studenti ed insegnanti dai sorrisi rigati di lacrime.
Brunella rappresenta il simbolo fisico e tangibile del coraggio e della perseveranza di tutte le donne nel mondo nel lottare per la libertà propria ed altrui, senza mai tirarsi indietro di fronte alle sfide più difficili e partecipando alla Storia con una stoica ed elegante forza tutta al femminile. E, alla domanda di Danilo De Biasio se fosse pentita di tutti gli sforzi fatti, Brunella ha riassunto tutta questa forza in poche parole: “lo rifarei cento volte, non una sola”.