Quei posti che chiamano ancora

di Jorida Dervishi Mbroci
Ci sono luoghi che restano dentro. Non perché fossero belli, o perfetti, o perché ci abbiano regalato qualcosa di straordinario. Restano per come ci hanno accolto nei giorni semplici. Nei gesti piccoli. In quella normalità che allora sembrava nulla e oggi ci manca come l’aria.
Una fermata della metro. Un bar all’angolo. Un ginseng preso sempre nello stesso bicchierino di carta. Un sapore che era quasi un appuntamento con sé stessi. Poi il pullman, le lezioni, le voci. Tutto iniziava lì, nel silenzio della mattina. Ogni passo aveva un senso. Ogni volto che incontravo, un frammento di storia.
Insegnavo. A scuola, nelle case, ovunque ci fosse bisogno. Ma non era solo lavoro. Era uno scambio invisibile: io davo, loro mi restituivano qualcosa che non si può misurare. Fiducia, presenza, umanità. Poi i progetti. I diritti umani. I pomeriggi intensi, le idee che si accendevano intorno a un tavolo. Le persone giuste, quelle che ti cambiano la rotta senza nemmeno volerlo. Alcune sono ancora con me, anche adesso. Anche se i chilometri sono tanti, anche se le vite sono cambiate.
E poi c’erano i posti. Le strade un po’ storte, le panchine, il centro commerciale dove cercavo un po’ di tregua. Camminavo senza meta, ma in realtà stavo costruendo qualcosa. Stavo capendo chi ero. Nessuno se ne accorgeva, ma lì stavo vivendo qualcosa di vero.
Non tutto è stato facile, certo. Alcuni legami si sono spezzati, qualcuno ha tradito, qualcuno ha lasciato. Ma non è colpa dei luoghi. Né delle persone che mi hanno teso la mano. Le ferite non cancellano il bene. Lo rendono solo più prezioso. E se oggi sento questa mancanza che punge dolcemente, è perché lì ho vissuto qualcosa che conta.
Ora sono altrove. Con nuovi progetti, nuove direzioni. Ma tutto quello che sono adesso lo porto da lì. Da quelle giornate leggere e da quelle pesanti. Da quegli incontri imprevisti. Da quelle partenze che non sembravano addii, e invece lo erano.
Ci sono cose che non fanno rumore. Non chiedono spazio. Non brillano. Ma restano. Come le orme sulla sabbia che sembrano scomparse, e invece sono ancora lì, sotto la superficie. Come tracce silenziose.
CONTENT CREATOR: Boris Maretto
