Ilaria Bernardi è la curatrice di una mostra che fa parte di un progetto multidisciplinare dal titolo “Progetto Genesi. Arte e diritti umani”, promosso da Associazione Genesi in collaborazione con altri enti importanti, tra cui il FAI, ENI, RAI per il Sociale.
A Varese, presso la prestigiosa cornice di villa Panza, è stata allestita – da settembre a dicembre 2021 – la prima parte di un’esposizione itinerante che vede opere di artisti contemporanei dialogare con l’attualità. Le altre città in cui il progetto si sposterà nel 2022 sono: Assisi, Matera e Agrigento, all’interno di luoghi e musei strettamente collegati alle identità dei territori interessati. Le mostre saranno soggette ad un continuo work in progress.
Al centro della riflessione vi è la condizione reale e antropologica degli ultimi, degli emarginati, delle persone e comunità discriminate, tramite la creatività degli artisti che provengono da tutto il mondo; ma “Progetto genesi” non è soltanto una mostra, è anche un’operazione più estesa che prevede incontri di approfondimento online e workshop gratuiti (in collaborazione con Università Cattolica del Sacro cuore di Milano) per sensibilizzare il più possibile le cittadine e i cittadini – tutti: giovani e meno giovani – sui temi che riguardano i diritti fondamentali, quali ad esempio: l’inclusione e la giustizia sociale, la parità di genere, la difesa del paesaggio, l’ecologia, etc.
“Progetto genesi” si inserisce nell’ambito della Convezione quadro del consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, redatta a Faro il 27 ottobre 2005 e ad oggi ratificata da 19 Paesi dell’UE, tra cui l’Italia ovviamente, nella quale si legge che l’eredità culturale rientra fra i diritti umani. Si intende per “eredità culturale” l’insieme delle risorse ereditate dal passato e per “comunità patrimoniale” l’insieme di persone che attribuiscono valore a quel patrimonio. La responsabilità, quindi, è individuale e collettiva nel custodire tale patrimonio.
L’obiettivo principale di “Progetto genesi” è quello di creare una rete tra le culture, valorizzandone le differenze per giungere ad una convivenza pacifica.
Ma diamo voce ad alcune opere in mostra a Villa Panza.
Prima sala. Condizione femminile Zehra Doğan: sottolinea come il patriarcato nella società curda ha portato lei stessa e altre donne a d essere incarcerate. Durante la detenzione ha realizzato opere con materiali e supporti di recupero (Il tappeto di Shahmeran e la mappa dell’Impero ottomano di Kurdistan, in mostra)Seconda sala. la memoria di un popolo. Hangama Amiri: fa riemergere il ricordo del proprio Paese, il Pakistan, unendo tessuti con immagini trovate nelle comunità di afghani emigrati a New York.Zoë Buckman in “Face to the bricks” con un guantone di boxe (simbolo maschile) decorato con morbide balze (simbolo femminile) richiama la violenza di genereLava Thomas: l’opera deriva da una foto segnaletica di una donna incriminata negli anni ’50 in base alle leggi anti-boicottaggio in Alabama. Il Montgomery Bus Boycott citato nel titolo fu una protesta che iniziò nel 1955 quando Rosa Parks rifiutò di cedere il posto su un autobus a un biancoHenry Taylor raffigura suo nonno ucciso dai bianchi nel 1933 poichè si rifiutava di raccogliere cotone e le scatole dei famosi biscotti ricordano la difficile condizione degli afroamericani, ancora oggi in America. Sempre nella seconda sala: un’identità multiculturale. Morteza Ahmadvand in “Becoming” incoraggia la convivenza tra culture diverse simboleggiate, nei tre video, da una Croce cristiana, dalla Stella di David e dalla Kaaba islamica. Otobong Nganga visualizza un’altra metafora il processo di trasformazione di un arazzo, in cui l’inchiostro cambia colore. rappresenta i processi di trasformazione della società capaci di renderla multiculturaleMequitta Ahuja in “Autocartography III” firma un suo triplice autoritratto attingendo alle proprie radici indiane, africane e americane tramite l’iconografia religiosa, murales e antichi manoscritti. Terza sala. Le vittime del Potere. Shilpa Gupta dedica l’opera a cento pensatori che, per i loro scritti, sono stati vittime di carcerazioni, esecuzioni e censureJan David Nkot, dal Camerun, ritrae una lavoratrice migrante con il suo strumento di lavoro che ci osserva, interrogando il visitatore sulle condizioni disumanizzanti dei migranti nel mondoGideon Rubin in “Untitle” su pagine di riviste naziste interviene graficamente coprendone alcune parti per “cancellare” i messaggi di odio, le violenze, subite anche dalla sua famiglia materna che fuggì dalla Romania nel 1939Quarta sala. La tutela dell’ambiente. Liu Bolin, Cina. lavora con i giocattoli, alludendo al consumismo sfrenato e alla scarsa attenzione nei confronti dell’ecosostenibilitàPascale Marthine Tayou in “Totem Cristal” con la giustapposizione di materiali riciclati, ricorda l’importanza del riciclo per la salvaguardia ambientale