La casa dalle finestre chiuse

di Jorida Dervhisci Mobroci
Aveva le persiane spalancate e il profumo del legno vivo, quella casa. Ci entrò un’estate, con il cuore pieno di futuro e il corpo stanco di cercare. Non era solo un luogo: era promessa. Una parete dopo l’altra, cominciò a sentirsi parte di qualcosa che avrebbe potuto chiamare famiglia.
Non era la casa perfetta. Le travi scricchiolavano, le stanze erano fredde in certi angoli, e c’era sempre una porta che faceva fatica a chiudersi. Ma lei non voleva perfezione. Voleva verità. E in quella verità aveva investito tutto: tempo, forza, pazienza. Aveva cucito tende con mani ferite. Aveva portato luce dove prima c’era polvere. Aveva creduto, senza chiedere niente in cambio, che sarebbe stato per sempre.
L’estate scaldava le pareti.I giorni sembravano dilatarsi tra le risate e i silenzi pieni di senso. Ogni mattino apriva le finestre, faceva entrare l’aria e pensava: sono a casa.
Poi, un giorno, qualcosa cambiò.Una finestra non si aprì più. Una voce non rispose. Le chiavi non giravano nella serratura come prima. E senza accorgersene, lei divenne ospite. Poi intrusa. Poi nessuno.
La casa cominciò a chiudersi, una stanza dopo l’altra. Prima il salone, poi la cucina, poi la camera dove sognavano. Le finestre, un tempo aperte alla luce, ora avevano le imposte sbarrate. E lei, che aveva dato tutto, restava fuori. Al freddo, sotto il sole.
Non era il legno a spezzarsi, ma le mani che avevano serrato le porte. Non era la casa a chiudersi, ma le anime oltre le sue mura che si erano allontanate. Non era la casa a tradire, ma chi aveva scelto di lasciare le finestre chiuse. Chi aveva girato la chiave, lasciando dentro solo il rumore dell’assenza. Così se ne andò. Con il cuore come una valigia troppo piena e la schiena curva di chi ha perso qualcosa che non può essere sostituito. Il primo rifugio fu un nido fragile, incapace di accogliere le sue tempeste interiori e i suoi silenzi profondi. Ma lei restò. Anche lì, anche se si sentiva fuori posto. Fece quello che ha sempre saputo fare: aggiustò. Riparò. Resistette.
E a poco a poco, quasi senza accorgersene, il sentiero la portò altrove. Dove l’aria era più ampia. Dove una casa nuova la stava aspettando. Non era la casa che aveva sognato un tempo, ma era più vera. Più grande -non per le stanze, ma per lo spazio che sapeva dare al cuore.
Lì, finalmente, cominciò a costruire. Non da sola. Una mano nuova accanto alla sua. E un giorno, una voce piccola ma luminosa: una bambina.
La famiglia che creò non nacque dal sogno, ma dalla scelta. Dalla lotta. Dalla verità. E adesso, quando guarda quella casa, con le finestre aperte e vive, sa che ogni mattone porta il segno di quello che ha superato.
Non è stato facile. Non lo è mai. Ma ora, finalmente, è casa davvero.
Content creator: Boris Maretto